Descrizione
A fronte della forza di gravità progressivamente esercitata dal ‘bios’ sulle scienze umane e sociali – come dimostra, nei soli ambiti più legati agli interessi giusfilosofici, l’ormai inaggirabile riferimento alla ‘biopolitica’, alla ‘bioetica’ o al ‘biodiritto’ – è sembrato opportuno tornare al nesso inscindibile che Auguste Comte ha istituito tra la biologia (scienza allora ancora giovane) e la sociologia (scienza ancora da fondare), per il tramite di un’accurata critica filosofica rivolta ai pregiudizi (anche scientifici) e ai condizionamenti (non solo teologico-politici) che ingombravano il terreno di indagine sul quale il loro incontro è reso inevitabile, ovvero lo studio del cervello. Se, come ha ritenuto (il maestro ‘di vita’ di Foucault) George Canguilhem, è legittimo “dubitare che la sociologia conservi dell’opera comtiana una impronta così profonda come l’ha avuta la biologia”, l’ultima lezione che Comte dedica a questa scienza nel Corso di filosofia positiva (quella che si presenta e traduce in queste pagine) testimonia, forse oggi con maggiore nettezza rispetto alle altre, la necessità, già urgentemente avvertita, di problematizzare l’antropologia politica e giuridica dei moderni in relazione a quanto della vita si dà a conoscere.