Descrizione
Il diritto, in quell’antichità senza data che precede la formazione della città e dello Stato, è il legame che unisce trapassati e viventi. Il dato di esperienza più forte, che segna la nascita di un primordiale civiltà umana, è quello della fine della vita di un essere umano.
È merito di Fustel de Coulagnes, intuito il valore religioso della morte, di costruirvi attorno un ordinamento. I viventi e i propri antenati si garantiscono una immortalità nel culto delle tombe, nucleo di una religione domestica, che esclude qualsiasi estraneo.
In questa religione gli antenati sono divinizzati. I termini Di Penates, Manes, Lares, Genii indicano la loro appartenenza e attività protettiva nascosta nella famiglia. L’altare loro dedicato e abitato è l’ara-focolare con il fuoco permanentemente acceso, sotto il quale si praticava in origine l’inumazione domestica, prima che questa si spostasse fuori della abitazione, al centro del piccolo appezzamento adiacente, con la sua frontiera confinaria segnata dalla pietra del dio Terminus, ad insegna della impenetrabilità e intangibilità da parte di estranei. Perché questo è un primo carattere della relazione tra i vivi e i propri morti che loro avevano dato la vita, l’intimità.
La famiglia, quale che ne sia la sua estensione, è un’“isola sacra”.
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Il modello architettonico di una domus, quale si conservò per secoli nei ceti più elevati, ha mura perimetrali cieche, aperture su un cortile centrale che contiene l’ara familiare nascosta agli occhi di estranei.
Attorno al focolare si consumano i pasti, quasi vi siano convitati defunti, in quel fuoco vivo richiamati in vita. Ai sepolti sono dedicate ricorrenze in cui loro si offrono vino, latte e altri cibi, per sostentarne la creduta permanente esistenza. Le tombe possono essere arredate con oggetti preziosi, utensili, armi, quasi i trapassati con essi protraessero abitudini della vita. Non è immortalità dell’anima, perché tutta codesta sopravvivenza si vanifica se i discendenti abbandonano le tombe o se non vi sono più discendenti. Paradossalmente sono gli insepolti a dar conto di sé, tormentando come fantasmi o incubi i vivi.
dalla prefazione di Francesco Paolo Casavola