Descrizione
Disappartenenza dell’Io è un concetto che Rosario Diana elabora a partire dalla critica di Giambattista Vico al cogito cartesiano. Fedele al suo criterio del verum-factum, secondo cui si può conoscere solo ciò che noi stessi facciamo, Vico afferma – contro Cartesio – che dell’Io, soggetto del cogito, non si può avere conoscenza, ma solo coscienza. Sicché l’Io – questo «centro di gravità narrativa» (Daniel Dennet) a cui nell’esperienza ordinaria attribuiamo le nostre azioni (Io scrivo, Io mangio, Io firmo il contratto) e in cui tendiamo a individuare il nostro nocciolo più autentico -, pure costruendosi e modificandosi nel corso della propria storia, in origine non si è “fatto” da sé: non si pone, ma si trova. Estromesso dalla topografia del facere umano, l’Io si avverte proprio ed estraneo al medesimo tempo, dunque disappartenente a se stesso.
Così delineata, questa condizione dell’Io diventa il paradigma di un dialogo filosofico a distanza con alcune opere beckettiane (Murphy, Finale di partita, L’ultimo nastro di Krapp, Film, Non Io, Quella volta, Dondolo, Improvviso dell’Ohio).
A muoversi verso Samuel Beckett non è però solo un libro, ma anche un disco con brani musicali che sei compositori (Giancarlo Turaccio, Lorenzo Pone, Chiara Mallozzi, Bernardo Maria Sannino, Rosalba Quindici, Salvatore Carannante) hanno scritto in sintonia con il paradigma della disappartenenza dell’Io, centro propulsore della ricerca comune.
Per realizzare questo libro-con-disco, l’autore del volume e i musicisti hanno lavorato insieme per più di due anni, producendo un risultato finale nel quale musica e filosofia si intrecciano in una simbiosi provvidenzialmente imperfetta, poiché, pur intersecandosi e contaminandosi l’un l’altra, conservano entrambe la propria reciproca autonomia. Ne deriva una doppia manovra di avvicinamento a Beckett: una moltiplicazione virtuosa delle possibilità ermeneutiche esperibili nel percorso di approssimazione all’opera di un autore.