Descrizione
L’approccio dell’ordinamento italiano prerepubblicano in materia di attribuzione e di perdita dello status civitatis è stato inevitabilmente influenzato dalla posizione di inferiorità che illo tempore le donne cittadine ricoprivano nell’ordinamento sociale italiano. Le nostre concittadine, in caso di formazione di un nucleo familiare con un cittadino straniero, non di rado subivano la perdita della cittadinanza italiana o comunque erano impossibilitate a trasmettere la stessa iure sanguinis alla prole. Tuttavia, in tempi recenti si è registrata una crescente domanda di “recupero” della cittadinanza italiana da parte dei discendenti di queste nostre concittadine, soprattutto a seguito degli importanti arresti della Corte Costituzionale n. 87/1975 e n. 30/1983 e della Corte di Cassazione n. 4466 e n. 4467 del 2009.
L’opera si propone di indagare sulle dimensioni effettive del fenomeno discriminatorio in questione e di fornire utili chiavi di lettura per delineare i possibili scenari giuridici, tenuto conto di tutte le componenti giuridiche in gioco. Per fare ciò, l’opera segue un percorso necessariamente interdisciplinare che, partendo dall’analisi di determinate caratteristiche dell’emigrazione italiana, spazia dal diritto internazionale privato al diritto comparato, dal diritto costituzionale al diritto internazionale pubblico e a quello dell’Unione europea.
L’auspicio è di aver “scattato” una fotografia fedele di un profilo relativo alla disciplina della cittadinanza italiana invero non pienamente esplorato in dottrina, ma che sta progressivamente acquisendo centralità nell’attuale dibattito giuridico, nonché nell’esperienza giurisprudenziale.