Descrizione
Il rapporto privilegiato tra filosofi e prigioni risale alle origini del pensiero occidentale e ne ha contraddistinto in misura significativa la storia; da Socrate a Severino Boezio sino a Campanella, per citare solo alcuni degli esempi più noti, il carcere ha spesso generato e ospitato – senza che alcun muro potesse poi contenerle – idee destinate a incidere profondamente sul mondo esterno o spunti di riflessioni inattuali, consegnati ai posteri tramite una sorta di messaggio nella bottiglia. Ed è nello spazio angusto di una cella, da cui lo sguardo della mente è portato a levarsi in cerca di un altrove che non può che essere antitetico rispetto alla realtà vissuta, che si sono talora immaginati nuovi mondi e nuovi stati, dando vita a una serie di celebri utopie. Se dunque, suo malgrado, il carcere ha offerto un contributo rilevante alla storia del pensiero utopico e, più in generale, a quella della filosofia, quest’ultima ha la possibilità di ricambiare facendo della prigione l’oggetto delle sue analisi; sue e di una serie di altre discipline che in questo volume si è voluto tornare a intrecciare, in una prospettiva programmaticamente (dovremmo forse dire: utopisticamente) interdisciplinare. Ed ecco allora storici del pensiero e del diritto, politologi, giuristi, sociologi, geografi e filosofi – ma anche ’addetti ai lavori’ – impegnati in uno sforzo comune volto a indagare e a riflettere sui modelli di società che, dal XVIII secolo a oggi, hanno ispirato concezioni del carcere molto lontane fra loro: da Beccaria e Bentham a Durkheim e Foucault, dalle idee-cardine del sistema penitenziario dell’Antico Regime sino al principio-guida dei nostri padri costituenti secondo cui le pene detentive debbono essere funzionali alla «rieducazione del condannato», al suo reinserimento nel contesto civile.